Matteo Marrucci tra gioie e dolori

Non ha un buon rapporto con le semifinali, Matteo Marrucci. In Nazionale, come nel Pisa. Nel 2015 la più atroce delle sconfitte, ai Mondiali con Tahiti, ai rigori. Un anno dopo il colore è parzialmente cambiato - all’azzurro si è aggiunto il nero - la sostanza no: ko con la Sambenedettese in Coppa Italia, sempre dal dischetto, seguito da quello nella Final Eight della Serie A con il Viareggio. Due quarti posti con il club toscano ricoprendo il duplice ruolo di allenatore-giocatore e la qualificazione ai Mondiali di aprile-maggio alle Bahamas. Questi i feedback della stagione 2016, per la quale Marrucci nutre “qualche rimpianto”.

Perché?

“Avrei voluto giocarmi la semifinale scudetto col Viareggio al massimo delle possibilità. Purtroppo non abbiamo potuto contare su Labaste, un elemento indispensabile, il nostro Gori. Non è certo un alibi, quella partita l’abbiamo persa per demeriti nostri. Abbiamo sbagliato alcune occasioni, loro no. Il rammarico c’è, considerato che avevamo chiuso il girone al primo posto”.

2016, il tuo primo anno da allenatore. Come lo valuti?

“Benissimo, il migliore in assoluto considerando anche quelli da giocatore. All’inizio avevo rifiutato la proposta del Pisa, poi ho deciso di accettarla. Da giocatore sei responsabile di te stesso, da allenatore, invece, di una squadra intera. È stimolante, ma dieci volte più complicato. Molti dicevano che non ce l’avrei fatta, si sono dovuti ricredere”.

In che modo ti sei approcciato al nuovo (doppio) ruolo?

“Con pochi discorsi e tanto lavoro sul campo. A me piace fare, non parlare. Alle continue sostituzioni preferisco i quartetti, perché così si riesce a mettere tutti i giocatori sullo stesso piano e si consente a chi è indietro di raggiungere gli altri. Ovviamente, a seconda dell’andamento di una partita, nell’ultimo tempo chi può risultare determinante rimane più a lungo in campo”.

Cinque stagioni al Viareggio prima di approdare al Pisa (2015). In cosa ti ispiri al tuo ex tecnico Santini?

“La carica che trasmette ai giocatori fa la differenza. Lo ascolti prima di una gara e ogni volta sai che ti danneresti l’anima per lui”.

Gori meritava di essere nominato miglior giocatore del mondo?

“Per quanto fatto nel 2016 sì. Non aver conquistato trofei con la Nazionale, però, ha pesato”.

Pensare di vincere i Mondiali è un azzardo o una possibilità concreta?

“Noi andremo alle Bahamas con l’intenzione di provarci fino in fondo. Si giocherà in un periodo inusuale per noi, cercheremo comunque di presentarci al top della condizione fisica. Ancor più fondamentale sarà raggiungere quella tensione positiva che soltanto disputando amichevoli di un certo spessore si può alimentare”.

Chi vedi tra le favorite?

“Portogallo e Tahiti. Le altre sono un gradino sotto: Giappone, Svizzera, Iran e anche il Brasile. È vero, ci ha battuto nella Supercoppa delle Nazioni di ottobre, ma il risultato di quella gara è bugiardo. Se stiamo bene di testa e di gambe possiamo spaventarlo”.

La mano del ct Agostini si vede.

“Da quando è arrivato (un anno fa) ha messo tutti in discussione, me compreso. Non sono stato convocato per la Euro Cup e la tappa di qualificazione della Euro League tra giugno e luglio. Questa esclusione mi ha caricato e spinto a dare di più. Ed infatti dopo poco sono rientrato nel gruppo azzurro”.

Cosa manca all’Italia per alzare un trofeo?

“Quell’esperienza che si acquisisce abituandosi a disputar grandi partite. Ma stiamo crescendo anche sotto questo aspetto. L’età media della rosa del Portogallo che ha vinto i Mondiali nel 2015 era alta, molto più della nostra. Anche loro, prima di imparare, hanno sbagliato. Il ciclo dell’Italia non terminerà certo l’anno prossimo. Il beach soccer è diverso dal calcio in tal senso: il numero delle partite e degli infortuni (al di là di quelli di tipo traumatico) è di gran lunga minore. Chi sta bene può giocare anche sino a 40 anni”.

E allora perché l’Italia è tuttora considerata una outsider?

“I giudizi sono influenzati dai risultati. La linea di demarcazione tra la vittoria e la sconfitta è sottilissima. Prendiamo il caso della Polonia: nessuno poteva ipotizzare che si sarebbe qualificata per i Mondiali dopo una bruttissima Euro League. Ed invece ci è riuscita, estromettendo addirittura la Russia. Dare continuità ai risultati è complicato, soprattutto perché ogni torneo ha le sue peculiarità. Nella Superfinal di Catania abbiamo perso immeritatamente contro il Portogallo. Abbiamo disputato un ottimo girone pur non potendo contare appieno su Corosiniti e Gori”.

Cosa occorre per far crescere ulteriormente il beach soccer?

“Bisognerebbe poter dare la possibilità a chi può di praticarlo anche in inverno, per evitare di ripartire da capo ogni anno. E poi, sinceramente, non riesco a comprendere perché il beach soccer non rientri ancora tra gli sport Olimpici”.

 

A cura di Gabriele Noli